Andrzej Zart (Poznań, 1969) è un artista essenzialmente concettuale. Influenzato dalle teorie di Nicolas Bourriaud, secondo il quale l'arte nell'interezza della sua realizzazione implica la partecipazione del pubblico, fonda la sua ricerca sul rapporto tra arte e vita, concentrandosi sulle dinamiche relazionali esistenti tra artista e fruitore. Il titolo della mostra, In my shoes, è una frase anglosassone traducibile con l'italiano "mettiti nei miei panni".
Andrzej chiede allo spettatore un'intervento diretto, indossando le sue scarpe per entrare fisicamente nei panni dell'artista in uno scambio di ruolo da spettatore a creatore. Per questa mostra italiana, considerato il significato linguistico della traduzione, mette a disposizione anche i suoi abiti. Come in una sorta di rappresentazione teatrale le scarpe ed i vestiti dell'artista diventano costumi di scena, abbandonando l'idea della produzione dell'oggetto artistico a scapito dell'azione. Unica testimonianza dell’happening rimane la documentazione fotografica e video.
Passando ad una lettura di taglio sociologico/politico, vestire i panni di Andrzej equivale ad assumerne anche la nazionalità, ovvero: il polacco. Andrzej si considera un uomo fortunato. L’educazione artistica ricevuta in Polonia e nel Regno Unito (St. Martin College, London) gli ha permesso di diventare un artista affermato e rispettato dalla società. Ma nell'Europa odierna, dove la recrudescenza dei nazionalismi è un dato di fatto, la vita dell’immigrato spesso è dura, fatta di lavori precari e mal retribuiti, talvolta ai limiti della schiavitù. Questo ci riporta ai luoghi comuni usati per descrivere i gruppi etnici. Il polacco è identificato come lavavetri, badante o immigrato clandestino alcolizzato dedito al crimine. Ma è passato poco più di un secolo da quando gli italiani partivano in cerca di fortuna all’estero e pizza/mafia/mandolino (o, nel migliore dei casi, mangiaspaghetti) era lo stereotipo che veniva affibiato ai nostri connazionali. Andrzej Zart, con il suo lavoro sullo scambio di identità, ci ricorda che è solo una questione di punti di vista, basta cambiare la prospettiva; lo sguardo dell’artista serve anche a questo.